Tradizionalmente l’invenzione dell’organo a canne viene attribuita a Ctesibio di Alessandria, vissuto nel III secolo a.C..
Non è noto come Ctesibio, costruttore di strumenti musicali, abbia avuto l’idea, per l’epoca del tutto geniale di costruire un simile strumento. Benché molto semplice nella sua struttura, questo organo idraulico presenta già tutte le caratteristiche dell’organo moderno.
Ci sono le canne ed un mantice molto particolare. Difatti il problema antico degli organi era proprio quello di un costante afflusso d’aria alle canne. Nel caso di Ctesibio, il mantice era reso agevole da un particolare meccanismo ad acqua.
Il nome “hydraulos” deriva appunto “aulos [specie di flauto od oboe] che funziona ad acqua”.
Grazie ai resti rinvenuti negli insediamenti romani di Pompei e Budapest ed alle descrizioni contenute in alcuni scritti di antichi cronisti, ci sono note le caratteristiche tecniche dell’organo primitivo all’epoca chiamato “Hydraulos”; questo termine è stato successivamente tradotto nell’espressione “organo idraulico”.
L'”Hydraulos” era alimentato da aria compressa attraverso pompe manuali in recipienti contenenti acqua, aveva una sola tastiera ed era già dotato di alcuni registri.
L’hydraulos fu concepito come oggetto di curiosità scientifica, per spiegare cosa poteva fare l’acqua, per questo non si evolse mai al punto di “strumento musicale”.
Tutto ciò accadde in Grecia, ma è grazie ai romani che noi oggi abbiamo l’organo. Alla loro conquista del territorio ellenico (siamo attorno al 146 a.C.), infatti, considerarono che questo strumento era di grande valenza, ed importandolo a Roma ne fecero grandissimo uso in teatri e circhi.
In questo periodo l’organo venne rivisto nella sua funzionalità sia da Erone d’Alessandria che dal celebre Vitruvio. Furono costoro che mutarono il funzionamento radicale dell’organo, rendendolo ora non più oggetto di meraviglia più tecnica che musicale, ma vero e proprio strumento; per far ciò fu mutata la trazione da idrica a pneumatica: ora la costanza della pressione era affidata ad una camera stagna, come avviene nella cornamusa.
L’ORGANO COME STRUMENTO LITURGICO
Durante il primo millennio dopo Cristo, al primitivo strumento alimentato tramite pressione fornita dall’acqua iniziò a sostituirsi un nuovo tipo di organo, prototipo di quello moderno e principio dell’evoluzione che sarebbe seguita nei secoli successivi; ed è in quel periodo che l’organo iniziò ad essere considerato dalla Chiesa d’Occidente come strumento liturgico, contrariamente a quanto avvenuto in Oriente, ove ancora oggi l’organo a canne mantiene la sua connotazione profana e non è ammesso alla liturgia.
Risale al 757 d.C. una delle prime testimonianze dell’uso dell’organo in chiesa. In quell’anno l’imperatore Costantino V donò a Pipino, Re dei Franchi, un organo che fu poi collocato nella chiesa di Compiègne dedicata a S. Cornelio Martire.
Rispetto all'”Hydraulos” negli organi dell’Evo antico ad ogni tasto corrispondevano diverse canne in successione armonica che dovevano suonare sempre contemporaneamente, senza alcuna possibilità di scomposizione tra le varie file con un comando di registro.
Durante il Medio Evo la tastiera, dalle notevoli limitazioni primitive dovute ad una composizione di meno di due ottave, fu progressivamente sviluppata anche fino a quattro ottave e i tasti, in origine simile a grandi leve, assunsero la forma utilizzata ancor oggi.
Ulteriori evoluzioni fondamentali seguirono negli anni XIV e XV con l’introduzione della pedaliera e la “riscoperta” (attraverso concetti e meccanismi differenti ma efficienti ed utilizzati ancora ai nostri giorni) della possibilità di dividere le sonorità attraverso il criterio del registro.
Le conseguenze immediate di tale riscoperta furono le profonde variazioni nella disposizione delle canne sul somiere, che assunse uno sviluppo per file ordinate, in maniera che ciascuna di essere fosse inseribile autonomamente.
Già prima del rinascimento si delinearono le differenze costruttive che caratterizzano gli organi delle varie zone europee nel corso dei secoli recenti: in Italia, fin verso la seconda metà dell’ottocento, rimane predominante un modello d’organo di dimensioni spesso contenute, raramente con più di una tastiera ma con divisione di molti registri in bassi e soprani, con predominanza di sonorità trasparenti e cristalline dei Principali e dei Ripieni.
Oltralpe si consolida il primato di organi di maggiori dimensioni, articolati in vari piani e corpi sonori corrispondenti a più tastiere, ove le sonorità dominanti possono essere quelle severamente solenni delle “Mixturen” (Germania), quelle brillantemente vivaci dei “Cornets” e delle “Trompettes” (Francia) fino alla squillante grandiosità della “Trompeteria” (Spagna), ossia delle trombe orizzontali in varie estensioni e timbriche.
Artefici dell’evoluzione dell’organo sino ai nostri giorni furono i numerosi artigiani organari diffusi in tutta Europa; in particolare limitandoci ai principali organari della tradizioni Italiana di scuola lombarda, citiamo per l’importanza della loro opera le famiglie Antegnati di Brescia, Serassi di Bergamo, Carrera di Legnano, Amati e Lingiardi di Pavia, Prestinari di Magenta.
Parallelamente all’evoluzione strutturale dell’organo si sviluppa un’immensa letteratura musicale a cui accanto a numerosissimi autori minori, collaborano autentici geni musicali quali Andrea e Giovanni Gabrieli, Girolamo Frascobaldi, Johann Sebastian Bach, César Franck, Max Reger, Franz Liszt,e in misura minore rispetto a quelli citati anche Mozart, Brahms, Haydn e Mendelssohn-Bartholdy, i quali con la loro impareggiabile arte hanno scritto stupende pagine di musica che ci permettono di gustare la bellezza musicale dell’organo a canne, da Mozart definito il “Re degli Strumenti”.
Sviluppo ed evoluzione dell’organo a canne
Nel 1400 si iniziano a costruire organi più grandi che, a causa della loro imponente mole, non era più possibile trasportarli da un luogo all’altro, come i portativi ed i positivi.
Nasce così l’ Organo Maggiore la cui installazione diviene fissa: in genere veniva collocato in tribune sopraelevate (in Presbiterio, nell’abside o sopra il portale d’ingresso); raramente veniva collocato a pavimento.
Contemporaneamente comparivano le prime rudimentali pedaliere, quasi sempre prive di registri propri, che svolgevano il compito di tenere premuti i tasti delle note più gravi delle tastiere. Verso la seconda metà del ‘500 inizia il vero sviluppo tecnico e fonico dell’organo, che si evolve in maniera differente tra i vari Paesi.
La maggior parte degli organi che venivano costruiti in Italia aveva una sola tastiera (anche se nella seconda metà del ‘700 ne fu costruito uno di sette tastiere nella chiesa di S.Pietro a Trapani): in genere questa tastiera aveva un’estensione piuttosto limitata, di una quarantina di tasti, e la prima ottava era ‘in sesta’ (o ‘scavezza’).
Ciò significava che questa ottava non aveva la successione delle note, come le ottave normali (che seguono ad essa): iniziava dal tasto ‘Mi’ a cui, però, corrispondeva la nota ‘Do’; al tasto ‘Fa#’ corrispondeva la nota ‘Re’ mentre al tasto ‘Sol#’ corrispondeva la nota ‘Mi’. A causa di questo, in quest’ottava mancavano 4 note: Do#, Mib, Fa#, Sol#.
La musica che veniva eseguita a quell’epoca era composta in tonalità che non esigeva la presenza di quei tasti mancanti.
La pedaliera degli organi italiani, inoltre, era di piccole dimensioni (spesso anch’essa con la prima ottava ‘in sesta’) con pochi registri propri di basseria.
La quasi totalità degli organi costruiti in Italia fino quasi alla fine del secolo scorso, aveva una caratteristica singolare: i registri erano ‘spezzati’. Ciò significava che ogni registro invece di agire con un singolo comando per tutta l’estensione della tastiera, era diviso a metà: la parte grave (‘bassi’) e la parte acuta (‘soprani’) della tastiera, ed ognuna era comandata da una leva separata.
Così nella stessa tastiera si potevano ottenere contemporaneamente due timbri differenti: uno per l’accompagnamento (o per il contro-canto) e l’altro per la parte solista. La composizione fonica degli strumenti d’allora era costituita da serie di registri appartenenti alla famiglia dei ‘Principali’ (Principale, Ottava, Decimaquinta, Ripieno, ecc.) e quelli appartenenti alla famiglia dei ‘Flauti’ (Bordone, Nazardo, Ottavino, ecc.); i registri appartenenti alla famiglia delle ‘Ance’ (Tromba, Clarino, Oboe, Bombarda, ecc.) erano rari.
Dal 1600 al 1800 i costruttori d’organi (‘organari’) più famosi furono: Antegnati, Callido, Serassi, Inzoli, Bossi.
Nei nostri giorni, tra le molteplici ditte organarie italiane, possiamo citare: Tamburini di Crema, Mascioni di Varese, Ruffatti di Padova, Zeni di Tesero, Zanin di Codroipo, Michelotto di Padova, Chichi di Firenze, Ferraresi di Ferrara, Pedrini di Crema, Ciresa di Bolzano, Bigi di Reggio Emilia, ecc.
Testi tratti da: AREA TECNICO-SCIENTIFICA (ATS) – Cap. ATS-B04 – Storia ed etimologia dell’organo a canne – argomento trattato da Ing. Arch. Michele Cozzoni
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